CH’OSÈ ADD'ACCÙSSÌ

10/01/2016
DEL CANCELLO DI CORBO E DELLA SUA RICOLLOCAZIONE, CHE È: “COSA BUONA E GIUSTA”.
 
É bene tenere a mente che le soluzioni rapide, quando sono offerte da persone come me: intellettualmente normo dotate, e, quindi, non a dei geni, sono l’essenza di una impazienza recalcitrante. É un bene, talvolta, addirittura, salvifico, considerare quanto spesso sia utile rallentare la propria prosecutio dissertationis prima di offrirsi in giudizi assoluti, generici, ancorché sommari. Ma, so di essere temerario e corro volentieri il rischio di una smentita, anche sonora! La vicenda “R lù Cùangiedd r Cùorv”, che, vivaddio, lo vede protagonista a cadenze più o meno regolari, anche qui, su FB, a mio modesto parere, ne è l'emblema.

Non intendo, ora, ribadire quanto, più e più volte, il sottoscritto ha pronunciato, proprio qui, su questo social, a proposito della porzione di Storia che questo manufatto ha rappresentato per tanti aviglianesi, e, ancor di più, per chi, come me, è costretto a viverne lontano. Nemmeno intendo ribadire l'attenzione mostrata ai ricordi che, con tanti altri miei coetanei, ne abbiamo di esso, di quel suo importante setto murario, costituito da grossi conci lapidei intessuti a corso regolare, che correva lungo un tratturo mulattiero (l'attuale Viale A. Moro), delimitante quella vecchia proprietà che fu della famiglia dei Corbo di Basso. Il Cancello: la sua imponenza! Alla sua destra, uno spiazzo enorme, “L'Arija r Cùhorv” : un'area ludico-ricreativa ante litteram, quando non era occupata dai tantissimi covoni di grano, portati dai nostri contadini, che aspettavano di essere trebbiati, secondo un preciso ordine cronologico. Quel Cancello, che, varcato, si apriva alla “Macchia r Tàllin”: avamposto di un magnifico, generoso, castagneto, arredato con degli “strani” manufatti a forma di semi cupola, ammantati di mistero, che solo il tempo a divenire ci avrebbe detto della loro funzione di carbonaie. Appena oltre, una lingua di roccia arenaria, “La Val r la Tàna”, si presentava a noi, similarmente ad un litorale marino; una lingua di terra dorata; mi appariva come un gioiello con smeraldi incastonati intervallati da lapislazzuli. Così si manifestava quella scena. La maestosità inquietante, quasi minacciosa, con cui si presentava la variegata e lussureggiante espressione arboro-botanica, che lambiva la fiumara che, con le sue acque, arrivava ad alimentare il campano Sele, mi affascinava... mi sembrava ripercorrerla, indelebile, tutte le volte che, negli anni a seguire, avrei sentito o letto di quella dantesca, molto più famosa, anzi, universalmente famosa. E già, “La Val r la Tàna”.

Una vera palestra per tanti aspiranti “nautici”, o, platea per provetti nuotatori; con quei sui luoghi impervi che affascinavano, chi, come me, aveva spirito di avventura; un posto intrigante, ammantato dalla misteriosa presenza narrata, di aleggianti fantasmi dei briganti, caduti vittime per mano dei filo sabaudi nel periodo pre e post unitario. Senza infrangermi in appassionati ricordi, ritengo opportuno, per offrire un minimo di chiarezza, spolverare, con lievità, il manto della Storia Recente. Di quella riflessa dal nostro Paese di allora, che, di conseguenza, ha riguardato anche il nostro Centro, nel suo disporsi perché si dilatasse nei confini delle sue periferie a beneficio di nuove interpretazioni di vita urbana. Bene. Siamo a metà degli anni 80, il terremoto di qualche anno prima, ha messo a nudo le fragilità del nostro patrimonio abitativo, fortemente danneggiato e per gran parte inutilizzabile. Cambia la cultura del costruire, quella dei soggetti chiamati a farlo, che agiscono sempre più spesso ammaliati dalla generosa entità degli onorari e non per missione. Quello che in altre parti d'Italia è normale, incomincia ad accadere anche da noi, con i primi strumenti di pianificazione urbanistica; la responsabilità che sono in capo a ciascuno di noi, in quanto cives, sembra prende coscienza, ma è solo un miraggio.

I nostri territori sono un cantiere asettico a cielo aperto. Nasce l'esigenza di rimodulare i propri ritmi di vita; iniziano a diffondersi gli investimenti nel settore immobiliare, anche per via indiretta, con la sottoscrizione di fondi immobiliari, che iniziano a decollare e che rappresentano un prodotto finanziario specializzato destinato ad imporsi all’attenzione degli operatori e degli investitori, recitando un ruolo di primo piano nella costruzione di un nuovo rapporto fra settore finanziario e immobiliare. La Politica si interroga sulla sua capacità di governare l'economia e il suo potere, ma non ha risposte diverse da quelle che ci consegnerà la Storia con i successivi fatti di tangentopoli, le cui cronache ancora ci assordano con le note stridenti della corruzione: male endemico che si fatica ad estirpare e che ha fatto la “fortuna” di tanti politici, prima, e funzionari pubblici dopo l'ultima riforma degli Enti Locali. La Pubblica Amministrazione per riscattarsi della opacità con cui si era caratterizzata nei due decenni precedenti, si trova a percorrere l'insidiosa via posta su di un crinale, ed annuncia radicali trasformazioni, che, però, si rivelano vacui accenni, se non, addirittura, insidiose trappole burocratiche. La domanda edilizia assume la consistenza di una forza centrifuga. I Centri Storici, seppure attenzionati dal legislatore, si svuotano sempre di più e i processi di architettura urbano-abitativa accolgono, più o meno indistintamente, le molte domande pervenute, anzi, Studi Tecnici “ben organizzati”, la “stimolano” a fregio del paesaggio e delle sue risorse, siamo, insomma, in pieno regime speculativo si sovrastima il carico urbanistico. La “Piazza” non offre più slogan, calore e colore a salvaguardia di questo o di quello; del bene ambientale, di quello monumentale, architettonico od urbano. Nessuna causa è, più, comune, e, i semi dell'individualismo sono germogliati. Gli impulsi di quell'eco che era l'utopia, si sono smarriti di fronte al dio olezzante dell'Ade, che è il danaro.

Un habitat ideale per impavidi spregiudicati, pronti a tutto pur di arricchirsi. Anche nelle nostre famiglie si avvertono come evidenti tante crisi. Molte le coppie che si dissolvono dal sacro vincolo del matrimonio. Il potere si è adattato alle prepotenze di taluno, “autorevole”, rappresentante politico, anziché mettersi a servizio di una necessità collettiva. La mancata ricollocazione del Cancello, è, più genericamente un simbolo evidente: il prezzo che abbiamo pagato per la nostra disaffezione al bene comune, dettata da quei cambiamenti repentini. Esso ci dice di quanto, di come, siano state spazzate via “le terre promesse”, quelle anelate negli anni della rivoluzione giovanile degli anni del boom economico con le sue nuove problematiche le sue legittime aspettative. Il Cancello di Corbo, la sua mancata ricollocazione, parla, e, se ancora ve ne fosse bisogno, ribadisce di un continuismo, ma perpetrato in contro rivoluzione, che ancora oggi la fa in barba a quella anelata evoluzione collettiva, tanto che ogni mercoledì il Santo Padre, con la sua Croce in petto, non più d'orom ma di ferro, nelle sue omelie, ripete ossessivamente la necessità che abbiamo di rimodellare il nostro modello valoriale. Il Cancello di Corbo, non tace di un accaduto meccanismo decisionale: figlio di una democrazia farraginosa e sorda: catalizzatrice del tanto, eccessivo, disinteresse che le abbiamo mostrato, di cui ha goduto; la democrazia è un'espressione autarchica, al punto da produrre privilegi e furbizie, finanche travestimenti forvianti, la cui cifra valoriale assume segno antitetico rispetto a quello del suo etimo. Allora, che ad Avigliano sia possibile tutto è, come commentano alcuni in un post su fb, vero. Lo è molto oltre quel senso sprezzante che leggo tra le riga del suo pronunciatore; lo è al punto che perfino la sua denuncia non ammanta di sobrietà il suo narratore, me, incluso.

Il Cancello è là. La sua mancata ricollocazione, e mi avvio a concludere, conferisce leggibilità e continuità identificativa dell'essere di tanti. Ma è la nostra storia, il cui tessuto però, ha trama irregolare. Immaginare che la sola forza di volontà faccia prendere sostanza allo status ante, evidenzia la potenza metafisica degli spazi e dei luoghi che emergono anche dalla foto di questo post, che fa bella mostra del manufatto senza tacere dell'accaduto. Ora, che da allora sono trascorsi, come si ricorda, più di 30 anni, nella loro percezione quasi tattile, quei bei obelischi rimossi, appaiono con maggiore complessità nelle cose, negli edifici, nei luoghi, nel paesaggio, e, con qualche ritardo, perfino nelle anime. Permane la necessità di un'apertura che attraversi lo spazio, quello che miri a ridefinire la nostra comunità non come appartenuta, ma da rivivere con partecipata condivisione. Allora le sensibilità che anelano al ripristino del Cancello, trovino pure positivo favore. Quello stesso che, evidentemente, trovò quando il “monumento” e con esso la sua imponenza, il suo significato, venne rimosso per dare spazio ad un esempio di riassetto strategico delle infrastrutture viarie; alla domanda che veniva, di “Architetture di estensione urbana”, affrancando, colpevolmente, gli attori dal valutare, in proiezione, i risultati, le ricadute future di quel gesto, di come questo avrebbe inevitabilmente ridisegnato il futuro tessuto socio-culturale. É vero, formidabilmente, vero: “Ad Avigliano tutto è (sarà) possibile”, ma, aggiungo, non prima dell'esercizio dell'auto introspezione: individuale prima che collettiva. Allora, solo allora, a mio parere, ricollocare il Cancello, sarebbe, veramente “Cosa buona e giusta.”

 
a cura di Donato Claps
fonte aviglianonline.eu