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04/09/2010
AVIGLIANO RACCONTA IL SUD
Analisi storico-economica di un paese della Basilicata
 
Una vacanza estiva nel Mezzogiorno interno, in località lontana dai luoghi deputati del turismo meridionale. Se se ne ha interesse, può essere occasione propizia per osservare da vicino un frammento esemplare del mondo meridionale " profondo ", come questo sia cambiato negli ultimi cinquanta anni e come questo stia ancora cambiando. Per farlo con merito politico-culturale, in assenza di quel giornalismo d'inchiesta che in passato ha scritto belle pagine sul Sud fuori da frusti schemi letterario sociologici, occorre avere almeno nozione della letteratura meridionalista che quella realtà, definiva storicamente " civiltà contadina ", ha indagato e descritto coordinate di un intelligente realismo. Siamo stati ad Avigliano, un paese della montagna potentina situato a 850 metri di altitudine e a pochi chilometri dal capoluogo regionale, una comunità ben nota a Giustino Fortunato come a Manlio Rossi Doria, che vi fu confinato dal fascismo agli inizi degli anni quaranta. Tra Ottocento e Novecento è stato il paese più popoloso della Basilicata, terra di uno sterminato contadiname che non riusciva a sfamarsi nella povertà di quello che il meridionalismo ha definito il " latifondo contadino ". Nel corso di un secolo, Avigliano ha subito un intenso salasso migratorio. Nondimeno la sua struttura sociale ha conservato a lungo una caratteristica di fondo, che ha storicamente distinto la comunità aviglianese da quella della maggior parte dei paese del Mezzogiorno appenninico: la forte presenza di un artigianato operoso e ricco di qualità tematiche, al servizio di un territorio esteso che comprendeva un vasto numero di villaggi. Un ceto di artigiani che si può dire abbia assolto in tutto il corso dell'età moderna un ruolo " borghese ", quasi come una classe cuscinetto tra il potere feudale e il mondo contadino. È anche così che nel 1799 Avigliano fu tra le prime località lucane ad insorgere contro il malgoverno borbonico. Un buon numero di aviglianesi restarono sul campo di battaglia di Picerno. Quando il Borbone riprese il potere, furono oltre 200 i cittadine che ne subirono le sanzioni reazionarie. Oggi Avigliano conta dodicimila abitanti, settemila insediati nel centro urbano e il resto in oltre cinquanta borghi disseminati su un territorio che, a cavallo di tre versanti ( tirreno, ionico e adriatico ), confina con la stupenda valle di Vitalba. Il mondo artigiano e contadino vi è scomparso, cancellato in parte dalle emigrazioni della seconda metà del Novecento e, forse, soprattutto per effetto della gestione politica della classe dirigente regionale. L'egemonia democristiana che a lungo ha caratterizzato la vita lucana, e che ha avuto accanto a Emilio Colombo un aviglianese come secondo leader, ha puntato a conquistare e mantenere solidamente il consenso elettorale di Avigliano, popoloso comune sottratto ai comunisti che lo avevano amministrato senza meriti nel decennio 1946-1956. lo ha fatto trasformando, con metodo clientelare, un corposo numero di artigiani e contadini in impiegati e salariati della pubblica amministrazione e degli enti collegati alla politica meridionalista, cambiando così nel corso di una trentina di anni la struttura socio-culturale del paese. I figli ex artigiani e ex contadini sono affluiti in gran numero all'università, col risultato che oggi la società aviglianese pullula di laureati destinati ad emigrare. Un fenomeno che contribuisce a ritardare la formazione di un nuovo ceto politico-amministrativo, e che in parte notevole spiega come il ritardo civile nel Sud abbia una cifra anche maggiore del ritardo economico ( un fatto rilevato da Paolo Sylos Labini ). Fino a quando nel Mezzogiorno lo sviluppo economico non sarà avviato su un terreno largo e maturo, orientato a far sì che la crescita determini adeguati incrementi di occupazione paralleli a incrementi di produttività, il superamento del divario dualistico Nord-Sud resterà un obiettivo chimerico. Lo sapevano i grandi studiosi che nel secondo dopoguerra hanno concepito il " nuovo meridionalismo ", consapevoli che l'intero Mezzogiorno non aveva al suo interno le risorse economiche e civili per correre da solo. Tra essi c'era Manlio Rossi Doria, che in anni per lui dolorosi aveva conosciuto e amato il volto dolente e pure ospitale e generoso di Avigliano e della Basilicata.
 
Pietro Soldi
fonte LA REPUBBLICA
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