LA FORTUNA DI CHIAMARSI “LÙ MÙR R ' GLI MÙHONC'”

Inutile negarlo, parlando di muri, il primo che ci verrà in mente sarà la Cortina di Ferro, ovvero il “Berliner Mauer”, eretto a meno di vent’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, per drenare la fuga dei berlinesi dell’Est verso l’Ovest almeno fino al nove novembre del 1989, quando le picconate dei giovani alemanni, scandite al grido di glasnost, lo ridussero a miriadi di minuscoli souvenir. Subito dopo in sequenza nell'immaginario scorrono le immagini e c'è la Muraglia cinese, il muro del Suono, il muro del Pianto, il muro di Israele, il Muro di Sartre, il muro di Goya... A me, a proposito di muri, tornano in mente anche i versi premonitori di “Another Brick in the Wall” dei Pink Floyd, scritto dieci anni prima, che dicevano di Pink, vittima del suo muro psicologico, eretto in conseguenza delle delusioni che dispensa la vita. Detto ciò, anche se il rischio è evidente, non vorrei sminuire o banalizzare il tema, non trattandolo come si dovrebbe o piegandolo coercitivamente ad argomento di bassa bega, o, peggio ancora, elevarlo a vitto per eroi nostrani. Mi preme, tuttavia, fare, ma solo nella misura che mi è data esprimere, delle considerazioni, cercando di contestualizzarle alla modernità dei tempi correnti, in cui, come dirò d'appresso, questo elemento strutturale, assume in sé un verosimile linguaggio polisemico (come lo avrebbe definito Della Volpe). Ai più, credo, non sfuggirà che questa struttura e il suo essere immediatamente disponibile a chiunque, già nella Pompei antica recitava dei suoi utilizzi, indicando con chiarezza di un costume: quello romano-pompeiano. Le vestigia, infatti, riportano scritte e “grafiti” dai quali, come in un manifesto propagandistico moderno, si evincono le specialità di questo o quel lupanare, di campagne elettorali, di sberleffi, di epigrammi, dileggi e varie altre cose, che sono lo spaccato di quel modello sociale. Ben poco è cambiato nella modernità, in cui “il muro” molte volte, muta, trasforma la sua fisicità e diviene una sorta di romanzo di formazione il cui prologo racconta della cosiddetta guerra dei graffiti, promossa da “creativi” con disegni e simboli dal significato oscuro e si filtra addolcendosi fino a giungere alla Street Art, un attimo dopo che questi “teppisti imbratta muri” uscirono dalla clandestinità per diventare ambite personalità nel panorama artistico contemporaneo, cui sono state dedicate mostre in Italia ed all'estero. Da qui, ritrova, in unica soluzione, il suo essere oggetto comunicativo, chiamato come è a rispondere definitivamente a molte domande, come nel caso di Paul Ibbieta, eroe sartriano, condotto con due ragazzi in una cella, da dove gli sarà annunciata la sua condanna a morte, che sarebbe avvenuta proprio di fronte ad un muro. Nella sua nudità, con il ventre crepato del suo intonaco (a volte anche muschiato), con le sue articolazione tecnologico-architettoniche, il muro diviene mezzo di indagine sociale e “scrive” della realtà, sentenziando impietosamente di quanto accade o di quanto è accaduto. Spesso, per una sorta di empatica trasposizione, di fronte ad un qualsiasi muro, ho come la sensazione di ritrovarmi nei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau, dove sono state soppresse molte centinaia di migliaia di Uomini. Il soggetto “muro”, nella sua plastica versatilità che lo vede entità fisica astrattamente imperiosa ma anche impianto concettuale e metaforico, nella sua porzione di fisicità attenzionata mi ricorda del suo carattere razionale di unità, coerente ed armonica, dove il contenuto è: materia molteplice. Sarà stato per questo che, vedendo la persistenza della bella bardatura trapuntata e velata di colore rosso primario pronto a dominare il suo complementare e che definisce una precisa area di materia sensibile del Muro “R Gli Mùhon-c”, mi sono lasciato forviare ed ho creduto si trattasse di un'espressione artistica dirompente, di quelle che contengono i semi da cui germoglia la rivalutazione dell'aspetto tecnico dell'Opera d'Arte, sottolineando il carattere di intellettualità della creazione artistica. Invece no. Niente di tutto questo! Mi sono informato ed ho appreso che è solo un intervento “leggiadro” di messa in sicurezza; figlio naturalizzato della ridondanza mediatica innescata da voci antitetiche del governo locale, giusto così per non perdere le antiche abitudini ed attestarsi un buon livello di sensibilità civica (dote oltremodo necessaria per questuare consenso). E pensare che stavo per scommetterci sopra, tanto ero convinto si trattasse di un'opera d'arte! L'onestà del mio amico ciabattino – che evidentemente la sa molto lunga – ha frenato il mio impavido ardore, evitandomi l'esborso di oboli, ma non una bella figuraccia! (Spero di trarne lezione!) Quel muro R' gli Mùhon-c', ammetto è diverso da quello che ci protegge e che difende la nostra intimità domestica. Non ha connotati positivi. É una barriera fisica, una metafora, un concetto di difficoltà, un desiderio mancato. È l'indifferenza, la falsità, l'ipocrisia, un senso di colpa. È introversione, paura, codardia. È un confine che terrorizza la consapevolezza del proprio essere e, quindi, il ribellarsi sic et simpliciter. A niente vale utilizzarlo per lamentarne una deficienza strutturale: “compromissoria dell'incolumità pubblica”. Non serve erigere persistenti interventi di partitura provvisionale (scusate l'ossimoro), e lasciarle li a lungo, affidate ad un moto metamorfico per segnalarci di un avvenuta attenzione. Quell'altro muro, quello R' la Surutèdda, nella sua sconnessa rigidezza, riflette e si fa beffardo gaudio del Re, mettendolo a nudo. Qui il “soggetto artistico”, senza alcun pericolo di metamorfosi, polverizza l’uomo nel suo essere temporaneo rappresentante di simili, denunciando la sua distrazione e la sua disomogenea reazione al cospetto di identici principi di tutela. Non ho capito, ma per miei limiti, come mai rispetto alla medesima condizione “compromissoria dell'incolumità pubblica” che esprime anche questo manufatto, il Paladino rilevatore e quello risolutore non ritengano per esso necessaria la stessa attenzione dedicata al più fortunato muro R' gli Mùhon-c'. Stupisce, nemmeno tanto, che la solerzia ad oggi praticata, previo ammonimento con decibel che hanno superato il muro del suono, non trovi ancora riscontro: autonomo o riflesso che sia. Adesso, bandendo ogni altro artificio morfologo-linguistico, e per non annoiare oltremodo, accolgo l'invito di chiarezza che molti amici mi fanno e, per costoro, traduco: anche i muri pericolanti hanno diversa fortuna!

P.S.

Dimenticavo. L'opera provvisionale, così com'è e si presenta, non attenua né scongiura dal pericolo, anzi ne aggiunge.
03/10/2014 - autore: Donato Claps
fonte: aviglianonline.eu

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