LA CITTÀ DEL SOLE

28/03/2015
CARACAS CAPUT MUNDI
 
Vedere fronteggiarsi le compagini di tutto il globo, specie quelle europee e latinoamericane, in un torneo che decretasse la squadra migliore del pianeta, era stato da sempre l'obiettivo di tanti illuminati signori del pallone. In principio, alcuni tentativi pioneristici, vennero effettuati da magnati e capitani d'industria, con il chiaro scopo di sponsorizzare i propri marchi attraverso le attività ludiche. Tra questi anche Sir Thomas Lipton. Rimasto affascinato dal Torneo Internazionale della Stampa Sportiva, disputato a Torino nel 1908 e vinto dagli svizzeri del Servette a scapito dei granata, l'imprenditore scozzese decise di sovvenzionare la competizione a partire dall'anno successivo.

Oltre al mutamento onomastico, il torneo prese il nome del suo mecenate, il plenipotenziario britannico introdusse anche alcuni emendamenti nella formula: in luogo delle compagini austriache, che avevano preso parte al Torneo Internazionale, venne invitato un sodalizio albionico, il West Auckland Town. L'avvento del mecenate del tè non creò però sconquassi a livello di management: la gestione e l'organizzazione della manifestazione rimasero prerogative del quotidiano La Stampa di Torino, già promotore della vecchia kermesse. Per dare il via alle ostilità manca però ancora qualcosa: serve un incentivo che ammanti d'appetibilità la competizione e capace di ingolosire le pretendenti al titolo, a tutto vantaggio della spettacolarità. E l'idea non tarda ad arrivare. Affiancato dal celebre aviatore padovano, Leonino da Zara, fondatore del primo Aero Club italiano, Sir Thomas apre i cordoni della borsa e stabilisce un premio in denaro da assegnare ai vincitori: l'assegno staccato dal pigmalione scozzese ammonta a duemila lire, cifra notevole in relazione al potere d'acquisto dell'epoca. Sarà per lo stimolo economico o per la sempre crescente passione degli italiani verso il gioco del calcio, fatto sta che il torneo si rivela un successone: duemila spettatori di media, numero esorbitante per l'epoca, assistono a tutti gli incontri della manifestazione che vede trionfare i minatori inglesi del West Auckland Town, vittoriosi in finale sugli svizzeri del Winthertur. Dunque, almeno de facto, i minatori albionici sono i primi a potersi fregiare dell'ambito titolo di "campioni di del mondo".

Non sarà soltanto un episodio: nella seconda ed ultima edizione del Sir. Thomas Lipton Trophy, andata in scena nel 1911, la compagine della contea di Durham bissa il trionfo di due anni prima, strapazzando in finale la Juventus con un tennistico 6-1. Da allora molti altri, sfoggiando insegne e fasce di vario genere e tipo, hanno vaneggiato e sbandierato il prestigioso titolo ai quattro venti. Una glorificazione delle proprie imprese tra il narcistico e il campanilistico che non ha risparmiato niente e nessuno. A cominciare dalla Gran Bretagna, patria della rivendicazione fai da te: senza tener conto dell'Associations Football Championship of the World Decider, il Wolverhampton Wanderers, nel 1953, dopo una vittoria sulla Honved dell'oro, viene sbrigativamente etichettato come "campione del mondo" dalla sempre iperbolica stampa d'Oltremanica.
Di decalcomani però, si sa, il mondo è pieno. E la voglia di dare vita ad un torneo che coinvolga compagini provenienti da ogni angolo del pianeta attecchisce anche in Sudamerica: i primi germogli cominciano a sbocciare in Venezuela. Curiosamente, ad interessarsi della logistica dell'evento e della relativa buona riuscita, è il Ministerio de Obras Públicas de Venezuela. E' il 1950 e, il torneo "Ciudad de Caracas", appena plasmato e partorito dal dicastero dei Lavori Pubblici, ha ancora una gittata limitata: più che un vero e proprio torneo incrociato tra squadre di diversi paesi è assogettabile alla tournée di una formazione brasiliana, il Club do Remo, nella municipalità caraquena. La formula è abbastanza intuitiva: i brasiliani devono superare le cinque avversarie locali per conquistare la palma di "campioni del mondo"[1]. La superiore cifra tecnica del Leão Azul, nei confronti delle poco più che collegiali squadre caraquene, emerge immediatamente: il collettivo auriverde regola nell'ordine La Salle, Union Sc, l'Escuela Militar, il Deportivo Italia ( l'undici fondato da nostri connazionali immigrati nel paese andino), prima di arrendersi nell'ultimo incontro, al Loyola.

Il Loyolazo, cosi come viene ribattezzato l'incontro dalla stampa venezuelana, non impedisce all'itinerante comitiva auriverde di trionfare nella prima edizione del Trofeo Ciudad de Carcas. Alzata al cielo la coppa, dopo coriandoli e stelle filanti, festeggiamenti e boccali tintinnanti, l'avventura venezuelena del Leão Azul prosegue: due giorni dopo la gara con il Loyola, per celebrare quelli che vengono enfaticamente chiamati "i nuovi campioni del mondo", è in programma un incontro amichevole con una selezione mista formata da calciatori spagnoli. Con ancora in corpo le tossine del viaggio transoceanico, la rappresentativa spagnola crolla sotto i colpi d'un inclemente Leão Azul: gli iberici vengono travolti con un portentoso 3-0. Conclusa l'esperienza del Trofeo Ciudad de Caracas, si tirano le somme. E si arriva ad una conclusione: si avverte il bisogno di una competizione allargata anche alle compagini del Vecchio Continente. Passano due anni e, grazie al supporto di alcune cordate di imprenditori venezuelani, la Pequeña Copa del Mundo diventa finalmente realtà. Se spirito ed obiettivi rimangono immutati, a cambiare è l'impostazione del torneo.

Il restyling interessa sopratutto lo schema della manifestazione: dall'uno contro tutti del torneo del 1950 si passa al classico girone all'italiana, dove è la prima classificata ad esser proclamata vincitrice del torneo. Con l'entrata in scena delle formazioni europee, vengono rimodulati anche criteri e meccanismi di qualificazione alla Coppa: mentre le partecipazioni delle squadre latinoamericane continueranno ad essere regolate dalla logica delle wild card, la rappresentante delle terre al di là dell'Atlantico, coinciderà con la vincitrice della Coppa Latina. Questo almeno sulla carta, nella pratica, come vedremo, i criteri saranno molto più volubili: le numerose defezioni e i tanti inviti declinati, finiranno per stravolgere le impostazioni iniziali della manifestazione. Si completa cosi il quadro delle protagoniste della prima edizione: ai blocchi di partenza ci sono Botafogo, Millonarios di Bogotà, Real Madrid e La Salle, formazione qualificata d'ufficio in quanto rappresentante della nazione ospitante. Prima edizione, prime scintille. Soltanto la differenza reti decide il testa a testa tra Real Madrid e Botafogo: a spuntarla, alla fine della fiera, sono le Merengues dei vari Luis Molowny, Miguel Munoz e Pahino. Il titolo ritorna in Sudamerica l'anno successivo. Nonostante la presenza di due contingenti europei, gli spagnoli dell'Espanyol e gli austriaci del Rapid Vienna, la coppa, fieramente esibita dal Millonarios di Di Stefano e Pedernera, prende la via di Bogotà e della Colombia. I rapporti di forza Europa-Sudamerica, ancora perfettamente paritetici, vengono rivoluzionati dalla mini-dittatura imposta dalle compagini verdeoro: prima il Corinthians di Gilmar conquista il trofeo nel 1954, poi, a stretto giro di posta, il San Paolo di Bauer e Poy replica trecentosessantacinque giorni più tardi.

Ed è proprio l'edizione del 1954 a vedere l'esordio di una formazione nostrana nella competizione: a solcare l'oceano è la Roma, invitata in quanto vincitrice della Serie B 1951/52. Il gettone di presenza dei giallorossi non è però un unicum: i capitolini volano in Venezuela anche nel 1956. L'esito della spedizione però è assai poco incoraggiante: se nel 1954 i capitolini avevano ottenuto un lusinghiero secondo posto, due anni più tardi non si ripetono, chiudendo il girone all'ultimo posto con la miseria di tre punti raggranellati. A farsi immortalare con accanto la coppa, sono ancora una volta le Merengues, che superano la concorrenza di Porto, campione in carica del Portogallo e del Vasco da Gama, detentori del titolo carioca, e bissano così il successo del 1952 (saranno l'unica squadra a regalare il bis).
In Europa intanto ha fatto capolino la Coppa dei Campioni: l'avvento della competizione regina del Vecchio Continente provoca un inevitabile calo di interesse nei confronti della Pequeña Copa del Mundo. Che comunque, prima di chiudere i battenti, si concede il passo d'addio. L'ultima edizione, a cui prendono parte due compagini spagnole, Siviglia e Barcellona, termina con il primo e unico successo dei blaugrana trascinati da Ladislao Kubala e Antonio Ramallets. Tuttavia, l'esperimento viene ripetuto ancora a partire dal 1963: con i tempi del nuovo calendario calcistico dettati da Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale, nata nel 1960, il torneo, denominato nuovamente "Trofeo de Ciudad de Caracas", è però ormai derubricato a confronto amistoso. Dal 1963 al 1975 [3], con l'eccezione del 1964, anno in cui torneo non si disputa, partecipano indistintamente squadre di club e selezioni nazionali.
E l'albo d'oro è lo specchio di questa filosofia promiscua: oltre alle affermazioni delle spagnole, Athletic Club, Valencia, ai successi delle portoghesi, Benfica e Vitoria Setubal e dei brasiliani del San Paolo, spiccano i sigilli degli allora cecoslovacchi dello Sparta Praga (1969) e della rappresentativa della DDR ( nell'ultimissima edizione del torneo, datata 1975). Anche se, a dirla tutta, i venezuelani non hanno mai accantonato il loro giocattolo. In tempi recentissimi, nel 2005, è stato infatti allestito un nuovo torneo sulla scia della vecchia Pequeña Copa del Mundo: la manifestazione, denominata European-American Tournament, vinta dagli olandesi del Feyenoord, non ha però avuto un sequel.

E, sempre in tempi moderni alcuni club hanno avanzanto istanze alla Fifa per chiedere il riconoscimento dei titoli conseguiti in Venezuela: nel 2012, Serge Jefe Braz, allora presidente del Club do Remo, in concerto con Orlando Ruffeil, archivista del club, ha presentato un nutrito dossier al massimo organismo calcistico mondiale e alla federazione brasiliana, allo scopo di ottenere il tanto agognato beneplacito ufficiale. Le possibilità di vedere riconosciuto l'alloro del Leão Azul sono però ridotte al lumicino: a giocare contro le speranze dei brasiliani anche il poco confortante precedente del Palmeiras, trionfatore nella Coppa Rio (1951), torneo simile alla Pequeña Copa del Mundo, che non molto tempo fa si è visto rigettare la propria istanza di riconoscimento istituzionale[2] .

Note:

[1] Anche se teoricamente il Club do Remo, a termini di regolamente avrebbe dovuto superate tutte le cinque avversarie venezualane, nonostante il "Loyolazo", per motivazioni che non siamo riusciti a rintracciare, il titolo venne comunque conferito ai brasiliani.


[2] Ultimamente pare che Blatter abbia cambiato idea in merito alla questione relativa al titolo consenseguito dal Palmeiras nel 1951, lasciando intendere che il riconoscimento istituzionale della Fifa potrebbe arrivare a breve.

[3] L'edizione del 1963, vinta dai brasiliani del San Paolo, è passata alla storia anche per un altro avvenimento: la sera del 24 Agosto 1963, Alfredo Di Stefano, stella del Real Madrid e all'apice della sua fama planetaria, mentre si stava rilassando nella sua stanza d'albergo, il Potomac, fu prelevato e rapito da un commando delle Faln, le Forze Armate di LIberazione Nazionale. Il sequestro si risolse positivamente nel giro di poche ore. L'azione, orchestrata e pianificata fin nei minimi dettagli dal gruppo filo-castrista voleva essere solo a scopo dimostrativo: i rivoluzionari intendevano attrare le luci della ribalta internazionale sui presunti brogli elettorali perpetrati dal governo presieduto da Romulo Betancourt.
 
a cura di Lacerenza Vincenzo
fonte aviglianonline.eu