CH’OSÈ ADD'ACCÙSSÌ

18/09/2014
LA FONTANA – SCORCIO E RIVELAZIONE
 
Delle fontane di Avigliano, quella che si gode da Piazza Emmanuele Gianturco, incastonata tra “Palazzo Caggiano” e “Palazzina Stolfi”, nel suo essere elemento decorativo urbano al pari delle altre, sembra avere minor fortuna. Fu realizzata, in pieno ventennio fascista, nella bottega di Francesco Manfredi, che insieme ai i suoi figli faceva, come da tradizione familiare, lo scalpellino. Le “ovvietà del tempo mutevole” - si sarebbe detto in un Cenacolo Culturale - sotto il profilo di una nuova “posta politica”, indussero i nuovi interpreti post fascisti, che presero le sorti del governo succeduto a decretare la “raschiatura” dei fasci littori, scolpiti in bassorilievo su di elementi partecipativi dell’assieme, la cui collocazione “alare” probabilmente voleva strutturare un visibile e composto equilibrio d’eccelso, assecondando il carattere baldanzoso: caratteristica tipica nel gene di quella committenza. Perdonate la scarnita descrizione, più che minimale, ma al mio vocabolario, tra i tanti altri, mancano molti dei termini di gergo architettonico, così che “intenzionalmente” rifuggo dal praticarli, anche perché non vorrei ricadere nell’errore di usarne di inopportuni, seppure simili nella fonetica. «Mi riferisco al termine Chiosco invece che Chiostro, utilizzato in una mia recente riflessione circa una manifestazione di intrattenimento musicale nell’estate aviglianese appena trascorsa, tenuta, appunto, nel chiosco/chiostro del Palazzo Municipale. Per buona pace di taluni, ho usato il temine chiosco, confidando in una lettura, il cui senso non sfuggisse dal contesto e dall’ “ante” descritto a proposito del tenore progettuale con cui si era operato nel recupero architettonico conservativo. Ai puristi-linguisti-accademici, oltre che mancati rappresentanti linceiani, ricordandomi de “tempus fuggit” , della preziosità del cosmetico detergente e di quella dell'acqua, non ho voluto esplicitare il perché della giustezza del mio termine. Evidentemente, almeno nel caso de quo, a costoro sarà sfuggito l’esercizio di astrazione: capacità -se posseduta- che li avrebbe consentito di legare il descritto alla circostanza di contesto. Ho mancato. Non ho considerato, lo riconosco, la natura di tutti i destinatari. Avrei dovuto agire ad excludentum!. Ammetto la complessità del ragionamento ed affranco i miei “amici” dal praticarlo, non prima di suggerire di non sostituirlo con quello “loro” solito, con in quale, sovente pronunciano beffa, ma che, nello specifico, ha trovato bersaglio... altro.» Tornando alle fortune della Fontana di Piazza Gianturco, è nel suo segno-disegno che si inserisce questa mia riflessione, che riguarda il modo di fare e di essere. Se facessimo mente locale e provassimo ad osservare attentamente le vie e gli spazi del nostro paese - quegli stessi che percorriamo, viviamo, utilizziamo ogni giorno nelle nostre comuni abitudini -, emergerebbero elementi diversi, particolarmente degni di nota, più di quanto possano esserlo le ciarle, nelle quali, spesso, inciampiamo o ci intratteniamo. Provate a farlo anche voi, anche se questa operazione indagativa potrebbe non sembrare meritevole del vostro interesse in questa “società liquida”, complice l’alta velocità con la quale si muovono tutti i moderni processi, che ci “costringono” a non considerare il particolare. Io, vincendo la ritrosia, ho provato a farlo lo stesso senza attardarmi in dispersive dissertazioni sulla matrice razionalista con la quale si connotano molti aspetti del Novecento. Ho preso ad esempio la bella Fontana ed ho visto emergere alcune contraddizioni, che, in termini esemplificativi, possono dirsi diversificate in considerazione della indistinta disponibilità del “bene comune” con la sua utilizzabilità. È ovvio che una bella facciata di edificio esalti la sua bellezza e, magari la “esageri” se viene arricchita con dei bei fiori ai balconi, nonostante non possiamo appropriarcene di alcuno per poterlo annusare o per farne dono galante! Molti storici dell'arte dicono che “l'indifferenza verso il particolare conduce di per se al degrado dell’opera che lo contiene”. Sarà vero? Propendo al si ed aggiungo che in più con l'indifferenza si offende chi, quell'opera, l'ha voluta, l'ha commissionata, e l'ha realizzata, dal momento che essa risponde ad una precisa tradizione culturale, distintiva della comunità cui ora appartiene. Per questo, credo, c’entri poco il relativismo culturale nella sua modalità di confronto con la variabilità e la molteplicità di costumi, e di culture. Sono più convinto, che leggere la Città dai dettagli che ci offre, voglia dire poterla riconoscerla nella sua essenza più intima, più autentica, meno sofisticata e per niente edulcorata dalla prosa dei mercanti della parola, in continuo esercizio di ugola o di stilo, che siano o meno al soldo di qualcuno. Questa nostra elegante esigenza, non deve lasciarci distrarre da autocompiacimenti di sorta, ma, al contrario, deve stimolare l’utilità di una riflessione su ciò che è modernità e sul nostro modo di essere suoi fruitori o protagonisti. Ricordo a me stesso che l’estetica del dettaglio - il suo particolare - , trovò nel Novecento, il suo insegnamento di bellezza. A guardarla bene, la Fontana, riferisce che il suo autore questa lezione la fece propria, non smentendo, da artigiano che era, lo spirito culturale con cui i nostri artigiani lavoravano dopo averne appreso con consapevolezza il senso della loro professione. Vi invito ad osservarla nella sua raffinatezza a gustare i suoi sofisticati dettagli e di ricercali proprio all’interno del particolare e da qui giungere alla sua unità. Questo è stato il percorso ideale che personalmente ho compiuto a che mi ha portato ad ipotizzare il suo processo creativo e la sua forza costruttiva. Questa bella foto, però, denuncia anche un brutto segnale. Non oso immaginare la reazione del suo autore se oggi fosse tra noi e potesse vederla così come è ridotta. Cosa avrebbe detto, al “solito artista” che da tempo, troppo tempo, si aggira indisturbato per le vie e gli angoli di Città, dispensando di qua e di la le sue velleità, possiamo solo immaginarlo - ciascuno secondo la propria formazione –, con certezza non lo sapremo mai. Ora, senza ergermi a difensore del nostro artigiano, ma consapevole, per spirito civico, di dover difendere la “sua” opera, sono qui, nella mia veste di cittadino appartenuto a questa comunità, a fare delle considerazioni le quali non possono prescindere dal considerare la performance di questo “artista” quale insulsa espressione di pochezza, per la quale, evidentemente, il complesso sistema, ha lavorato bene. Confesso che provo un sentimento duale, ma che ne riferirò solo uno: quello per il quale gli formulo i miei ringraziamenti, e spiego perché. Come non apprezzare il suo intervento, meritorio di aver sostanziato nel suo esempio e in bella mostra, l’eloquenza di cotanto scempio? Deve, il nostro, avere particolare inclinazione all’arte, non v’è dubbio. Qualche esperto potrebbe addirittura ipotizzare una nuova corrente artistica, concorrente alla dilagante “Street Art”, magari battezzarla, perchè no, come “Wuhastation Art”. Scherzi a parte, della nostra Opera, antitetica alle surreali sculture di pietra di Hirotoshi Ito (spero si scriva così), particolarmente suggestiva è la clotoide che la pompa di gomma verde descrive nella sua collocazione spaziale: un brivido di tempo che scorre nel suo attimo e finisce attanagliato, immobile, nella rigidezza del tubo metallico, che l’attende là, pronto a fagocitarla, ma non prima di averle dato “esistenza d'uso”. Di qui, il contatore, strumento indicatore di una generica quantità trascorsa, di cui, l’unità di misura è da stabilirsi liberamente, considerato che per il nostro artista, l’acqua potrebbe essere solo un elemento di pretesto per impastare la malta o, magari no, dal momento che, anche qui, come nelle Letture, questo elemento vitale potrebbe assumere lo stesso significato simbolico. Che meraviglia! Grazie. Mille grazie a te, oh ignoto artista! Grazie alla tua performance, perché ora, più che prima d’ora, la fontana, dal suo particolare dettaglio, fa bella mostra di un insieme antropologico deviato e denuncia di autentici sentimenti coi quali si distinguono le sue diverse sensibilità: istituzionali e non. No, la sua centralissima collocazione non le è bastata ad evitarle questa tortura! E, se è vero, come pare, che viviamo tutti narcotizzati in uno stato di latente torpore, di semi coscienza, è altrettanto vero che in ogni comunità insistono Autorità preposte alla vigilanza, alla cura, alla conservazione ecc. ecc., del Bene comune. Qui, da noi, evidentemente alcune verità sono irriproducibili. Così, eccolo qua, un esempio di efficienza, che il bravo fotografo ci ha sottolineato con la testimonianza di questa foto. Gli sono grato (credo dovremmo esserlo in tanti) perchè ha saputo sintetizzare, oltre facile ironia, la consistenza di tanti soggetti: facili a declamare buoni propositi, ma che, con le loro autentiche interpretazioni, finiscono coll'alimentare quella stana materia che è il degrado in un persistente, irrefrenabile disastro.
 
a cura di Donato Claps
fonte aviglianonline.eu