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05/07/2016
CI VUOLE UN GRANDE CORAGGIO
Mario Petilli racconta le sensazioni che frullano nella testa di un calciatore dagli undici metri
 
AVIGLIANO - Dopo Germania - Italia, l’argomento principale degli appassionati di calcio e non, sono diventati i calci di rigore: tiri dal dischetto che spesso sono stati croce dei tifosi della Nazionale, ma che in qualche altra occasione ci hanno regalato emozioni forti come il titolo mondiale nel 2006. A finire nel mirino della critica, sono stati soprattutto Zaza e Pellé, non tanto per i tentativi falliti, ma per quello che è successo prima dei tentativi di trasformazione. Nella rete sono finiti il “balletto” del primo e soprattutto il gesto del “cucchiaio” del secondo poi non portato a termine. Abbiamo chiesto ad una vecchia gloria del calcio lucano, Mario Petilli ex calciatore e ora allenatore, se e quanto sia difficile tirare un rigore. “Premetto che i calci di rigore li sbaglia solamente chi ha il coraggio per andarli a tirare. Il resto sono chiacchiere” esordisce.

Di rigori in carriera ne hai tirati tanti, quindi puoi dirci quello che si prova a calciarli…

Si mi è capitato di tirarne. Tanti ne ho segnati ma diversi ne ho anche sbagliati purtroppo. Penso che il calcio di rigore sia un duello tutto personale tra l’attaccante e il portiere, in quei momenti sei davvero solo contro il tuo avversario”.

Che si sente dentro mentre ci si avvia a tirare un rigore?

“Hai l’adrenalina che ti scorre dentro. Mentre sei lì che sistemi il pallone sul dischetto ti passano tutti i momenti della partita”.

Ma è davvero così difficile?

“Secondo me sì. Si tratta di un insieme di tante cose: è gesto tecnico, è istinto, è intuizione. Quando sei lì, la porta ti sembra piccola mentre il portiere un gigante capace di prenderti il pallone che in quei momenti pesa tantissimo”.

Ci sono rigori e rigori, o sono tutti uguali?

“Io dico che sono tutti uguali per le sensazioni che si provano quando ti appresti a calciarli. Io non ho calciato rigori ai Mondiali o agli Europei, ma ne ho calciati tanti dalla Serie C al torneo di calcetto intersociale e ogni volta che andavo a battere sentivo le stesse emozioni”.

Quindi logico che i vari Zaza, Pellé, Bonucci o Darmian sentissero la pressione addosso?

“Beh, direi proprio di sì. Solo che Bonucci e Darmian hanno calciato dei rigori in maniera normale diciamo, nel senso che hanno scelto un angolo e hanno deciso di mettere il pallone in un punto pur sbagliando. Zaza è Pellé no”.

Gli errori sono dovuti quindi alla indecisione?

“Su Zaza ha pesato il fatto di essere entrato per trenta secondi solo per tirare il rigore. E’ difficile andare dal dischetto senza aver respirato l’adrenalina della partita. Se fosse entrato qualche minuto prima, sarebbe stato diverso, avrebbe avuto dentro qualcosa in più. Invece così era un certo senso scarico. Su Pellé il discorso è diverso”.

Ha sbagliato a fare quel gesto secondo te?

“Non è il gesto in sé che è sbagliato, anche perché secondo me non voleva offendere nessuno. Voleva solo mettere pressione a Neuer che è grosso oltre che bravissimo tra i pali. Lì o non dici niente e fai il cucchiaio o se fai il gesto poi lo devi tirare in quel modo, a costo di sbagliare. Tanto alla fine lo ha sbagliato lo stesso”.

E’ meglio presentarsi dal dischetto con una idea già precisa o aspettare la mossa del portiere?

“Difficile dirlo, ognuno ha una sua tecnica. Per quello che mi riguarda, io decidevo di tirare da questa o quella parte solamente all’ultimo momento. Cercavo di capire dove si stesse tuffando il portiere per poi tirare dalla parte opposta. C’è però chi battezza un angolo e calcia in quella direzione, ma se si sceglie la parte dove tirare si deve farlo in maniera forte e secca”.

Se non si è sicuri, meglio calciare la classica botta centrale sotto la traversa?

“A quel punto sì. Il rigore centrale e forte, magari sotto la traversa è quello che ti dà le maggiori garanzie: il portiere difficilmente sta fermo al centro della porta, ma si tuffa sempre da una parte. A quel punto diciamo che diventa più sicuro calciare teso e centrale”.

La freddezza conta tanto in questi casi?

“Tantissimo. E’ tutta una questione di testa. Io ero abbastanza freddo, eppure c’era un momento in cui mi prendeva la scarica allo stomaco quando andavo a calciare. Ricordo che c’era il portiere del Castrovillari, mi pare che si chiamasse Zagaria, che mi metteva in crisi: non si muoveva fino all’ultimo, fino a quando il mio piede stava per impattare il pallone e io non sapevo mai dove si tuffava. Contro di lui era difficile, era appunto il duello a tu per tu”.

Mettiti nei panni di Zaza o Pellé. Come si supera il trauma di un rigore fallito?

“Ci vuole tempo. Mi dispiace, soprattutto per Zaza anche perché è giovane e non ha una grande esperienza internazionale. E’ difficile soprattutto perché la gente crede che tirare un rigore sia la cosa più facile del mondo e invece non lo è. Tutti i più grandi hanno fallito dei rigori, e come ho detto prima, alla fine sbaglia solo chi ha il coraggio e la personalità di presentarsi sul dischetto. Le occasioni per rifarsi non mancheranno”.

 
Donato Valvano
fonte LA NUOVA DEL SUD
categoria: ATTUALITÀ