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21/01/2012
LA GLORIA RINASCIMENTALE NEL CILINDRO DI CATALANA
Vito Mollica, lo chef "stellato" del Palagio che insegna i Pink Floyd in cucina
 
FIRENZE - Un'idea (gastronomica-sentimentale) di Firenze: nobile e popolare, lussuosa e semplice. Quindi più idee. Agli Uffizi, c'è una sala con il video montato con le scene dei film che hanno scelto il museo come scenografia naturale. Stesso sfondo, storie diverse. Ognuno, in una scorribanda, può cogliere un particolare che ad altri sfugge. Io sono rimasto affascinato dal paesaggio verde del parco del Four Seasons di Borgo Pinti, un giardino botanico di 4,5 ettari tra i due edifici che compongono questo splendido hotel: il Palazzo della Gherardesca del XV secolo e il «Conventino», del XVI secolo, una volta convento. Questi corridoi, questi saloni, queste stanze sono passati da Bartolomeo della Scala, cancelliere di Lorenzo il Magnifico, al cardinale Alessandro dei Medici, poi Leone XI, «papa lampo», per il suo pontificato di soli 26 giorni; fino a Ismail Pasha, vicerè dell'Egitto. Dal 2008, dopo sette anni di lavori controllati dalla Soprintendenza per il patrimonio artistico, è diventato un hotel a cinque stelle, ma capace di attenzioni familiari. Come quella di un libretto, «Su misura», pensato dal direttore Patrizio Cipollini per i clienti: racchiude storie e indirizzi di alcuni degli ultimi veri artigiani fiorentini. Ma soprattutto come il Palagio, ristorante fresco di stella grazie alla maestria di Vito Mollica, quarantenne cuoco nato ad Avigliano, Potenza, ma cresciuto a Origgio (Varese). Filosofia: «Io do il buon esempio: quello che voglio dalla mia numerosa squadra, lo faccio prima io. Sto attendo a ingredienti e abbinamenti, cerco di rendere moderna e leggera la tradizione». Siccome in squadra ha ragazzi giovani, spiega chi erano i Pink Floyd e cos'è la "cassoeula". Questa, ovviamente, nel menù del Palagio non c'è, però ecco la fiorentina e il pollo del Valdarno arrostito al mattone. Il tocco di Vito Mollica lo trovo, però, nella crema di cecino rosa con Calamaretti e piedini di maiale, nell'agnello del Casentino gratinato alle erbe con crema di cipolle e verdure autunnali e nella gloria rinascimentale del cilindro con crema catalana, zabaione agli agrumi e sorbetto al mandarino. Questa idea di Firenze, passa anche dal Mercato Centrale dove si fa la fila per il panino al Lampredotto, si ferma all'Ora d'aria di Marco Stabile, poi attraversa l'Arno e si infila in San Frediano dove Marco e Martina Baldesi con Stefano Sebastiani hanno inventato il Santo Bevitore, locanda calda e accogliente. Oltre olio, salumi e formaggi di qualità, ecco i garganelli con pomodoro pachino, zucchine e cipolla di Certaldo e la groppa di manzo con funghi finferli con il sugo di arrosto di galletto. E con un Morellino di Scansano Val delle Rose (famiglia Cecchi), l'idea è raggiungere la perfezione.
 
Roberto Perrone
fonte CORRIERE DELLA SERA
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