LU MÙZZCH' – UN EVENTO POETICO A SOSTEGNO DI MATERA 2019

Una bella serata quella di ieri sera, tascorsa con parte della famiglia, nel vicino Comune di Filiano, da dove si gode, in bella panoramica, anche l'imponente maniero federiciano di Lagopesole, situato in quei di Avigliano. Durante il viaggio, la vivace curiosità di Vincenzo e di Domenico esaltata dagli occhi vispi di questi due miei nipotini, mi ha costretto, mio malgrado, ad improvvisarmi Cicerone. Per farlo, quale miglior modo se non scovare dalla memoria le storie “fantastiche” che mia nonna paterna, Carmela Bochicchio, mi raccontava, ricordandosi di quando, giovinetta, era fidanzata col nonno Claps che, “a quindicina” veniva a farle visita, percorrendo a piedi la strada che da Avigliano portava a Filiano. Altri tempi! Manco fossi stato un esperto in materia, ho “impartito” ai monelli, nozioni storico geografiche e raccondato delle leggendarie gesta brigandesche, di cui quei magnifici boschi, lambiti dal torrente Imperatrice che tributa il fiume Ofanto, furono teatro, oltre un secolo e mezzo fa. Ho proseguito raccontando loro, che mi ascoltavano rapiti per via dell'incomprimibile fascino che le storie dei briganti trasmettono, anche di una grotta antichissima, scoperta da un pastore a “Tuppo dei Sassi”. Qui, ho detto loro, ci sono riportate, colorate di rosso, in una scena di caccia, figure di uomini primitivi con dei cervi e delle capre. Così, in un viaggio percorso dal fantasioso al verosimile, siamo giunti a Filiano. Ad accoglierci, gente festosa dal timbro garbato e ospitale, che ha saputo conservare il suo carattere fiero, “ereditato” nel lontano 1951, senza però sottrarlo all’evoluzione che il tempo riconosce senza farne gratuita concessione. Senza scadere nell’ovvio, Lù mùzzch’ nelle sue diverse consistenze, è la riproposizione attualizzata e non gratuita del ritmo scandito nella mietitura; di questo lavoro durissimo che i nostri contadini facevano nel mese di luglio in piena afa, con la schiena costantemente curva, senza potersi minimamente riparare dai cocenti raggi del sole. Già, la mietitura. Questo il momento culminante di un ciclo produttivo, non sempre gratificante, in cui i mietitori, disposti con ordine preciso, “raccoglievano” con la falce il frutto della semina. La pittura neorealista lucana, ci riporta, grazie all’opera dei pittori Vincenzo e Remigio Claps, ma anche di Francesco De Carlo, scene di mietitura in cui il volto contadino è ritratto con l'espressione che ne denuncia la sua consapevole incertezza, legata al ciclo del futuro raccolto, i cui esiti, appunto, sapevano dipendere da imprevedibili cause climatiche, da calamità naturali, da malattie, e, non ultimo, dal buon cuore (mutevole) dei grandi proprietari che li ingaggiavano a salario variabile. I brevissimi canti che venivano intonati senza interrompere il lavoro, contenevano frasi intraducibili dal sapore estemporaneo: compagne di quell'esistere riflesso, in cui le osservazioni sulla realtà vissuta si prestavano a caricarli di nuova energia. Probabilmente erano suoni sciamanici, con il compito di esorcizzare l’esistenza, consapevolmente vissuta in un continuo oscillare tra realtà e speranza. Quella che Cesare Pavese, per altro verso, molto più in qua, chiamò “Il mestiere di vivere”. Da noi vivere non è mestiere, ma fatica. Ancora di più lo è stata quella che i nostri contadini, più di altri, hanno sopportato, dovendo, in aggiunta, combattere con una natura matrigna, che un anonimo ha descritto cosi in questi versi :“ Terre salate e di cirri / e di scarne morene / arse. / Terra sorda, dove si ammutisce il lamento / e nell’argilla indugia il nuovo germoglio.” Veramente toccanti, questi versi, oltre ogni facile romanticismo! Probabilmente, chi, molti anni fa, immaginò questa manifestazione, lo fece non mirando ad un ritorno turistico - che pure è necessario per muovere micro economie -, ma pensando di destinare al futuro, proprio quella memoria e non altra. Lu Mùzzch', con esso si preserva la sua originalità. La sua connotazione pura, sintetizza, peculiariarmente, il carattere del contadino aviglianese. Lu Mùzzch' è per questo trovata poetica: figlia di un sentire autentico in cui è in gioco il futuro di una identità comunitaria. Lu Mùzzch', quindi, non scimmiotta un accaduto, ne lo martirizza, ma ne segna, con ciclica insistenza, il suo dato valoriale, che è storico e culturale, esaltandolo in un'azione che vede partecipare in sintonia le sue due maggiori Istituzioni Locali: quella comunale, con a capo il Sindaco Giuseppe Nella e quella della Pro Loco, con il suo Presidente. Mi ha fatto piacere riscontrare che l'edizione di quest'anno porti in sè un valore aggiunto: quello di tributare alla nostra Matera l'auspicio che venga designata quale Capitale Europea della Cultura nel 2019. Senza gratuita partigianeria si è consapevoli della forza delle città concorrenti, ma anche che il valore antropologico dei Sassi di Matera è di gran lunga soverchiante: per unicità e datazione. Come da tradizione, equilibrate lunimarie, intervallate con cadenza regolare lungo le vie cittadine, tracciano il percorso della Festa. Qui le case, coi loro profili morbidi, mai minacciosi, ci dicono vigere in un ordine architettonico per niente sciapo o impulsivo, che non ha ceduto “all'alluminio”, e, al “fuori contesto”, come in tanti altri casi, ma ha saputo, attraverso i dettati amministrativi, accogliere le istanze di modernità evitando virtuosismi accademici di genere, significativi di modesto riferimento culturale. In un ambiende urbano che ti restituisce serenità, ho apprezzato la sintonia nella quale insistono la pavimentazione stradale, i suoi arredi, la segnaletica, i suoi corpi illuminanti: gioielli, questi ultimi di tecnologia e di design che rispondono ossequiosi all'ambiente ed al necessario contenimento energetico, e che ho saputo essere stati brevettati dalla ditta SELETTRA. Con una compostezza, oserei dire religiosa, accompagnati da episodici picchi di esuberante folklore, scandito dalla voce roca ma decisa di una esile figura femminile, il ritmo dettato alla tarantella in una delle due Piazze cittadine (quella di piede), mi coinvolge fino a farmi divenire improvvisato danzatore. La danza, in un tripudio di colori, si racconta nella sua forza seduttiva, e il mietitore con le sue movenze, le sue possenze, diviene il simbolo totemico per la sua bella da “conquistare” che è là, e che, con calcolato pudore da cenni di corrispondenza. Lu Mùzzch', lungo le strade cittadine, si è risolto cosi: assolvendo al suo compito non di solo evento attrattore, ma di riferimento culturale, che immagino essere sempre di più e consapevolmente partecipativo.
18/08/2014 - autore: Donato Claps
fonte: aviglianonline.eu

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